“ Non si andava a soccorrere nessuno, perché nessuno aveva chiesto aiuto. Non si andava ad abbattere nessun sovrano assoluto perché non si sostituisce un sovrano assoluto con un altro delle stesso genere. Non si andava a liberare nessun paese perché nessun paese era occupato da un altro popolo straniero.” Giuseppe Osvaldo Lu cera.
Si avvicina al galoppo la festa per il secolo e mezzo di unità, mentre la disunità furoreggia, quella ipocrita, quella vergognosa, quella ottusa. Anzi esplode in coincidenza della data una specie di festival di tutti i vizi che hanno reso tristemente celebre il Paese.
Tra i fori cadenti di uno stato burla, le leggi che umiliano la giustizia e un’ opposizione che “s’aduna vogliosa, si sperde tremante, per torti sentieri, con passo vagante”, lo spettacolo è allo stesso tempo desolante e affascinante. Affascinante per la sua assurdità e desolante come quella pubblicità per la festa dei 150 anni, fabbricata con gli stessi toni che si usano per vendere intimo griffato.
La storia non insegna, ma si ripete, tristemente uguale a se stessa,e mentre le vittime di allora sono le stesse di adesso,uguali sono i carnefici,
Purtroppo mentre lo spettacolo continua, non si può dire che l’analisi storica sia all’altezza della data, ma solo all’altezza del canovaccio di questa commedia dell’arte. Le solite cose: l’indipendenza che fu costruita da una piccola élite di intellettuali, l'annessione del Sud che fu una vera e proprio conquista, il nord costretto a togliersi il pane di bocca per mantenere il resto del Paese. Tutte cose in parte vere, dette e ridette, ma in parte anche semplici bugie e illusioni che i “signorotti” della lega ci propinano per convincerci di come il giorno della'”Unità d'Italia” sia da considerare una specie di lutto per chi fa parte della' altra metà del cielo.
Tanto per parlar chiaro un secolo e mezzo fa le manifatture del regno di Napoli erano già miseramente fallite e la sua marineria era agonizzante. Mentre il Nord, senza un mercato più ampio si vedeva chiusa la strada non solo dalle piccole dimensioni, ma anche dalle più evolute industrie francesi e tedesche.
L'unica verità incontestabile è che Lo Stato Italiano cominciò il suo inglorioso viaggio con un vero e proprio atto di terrorismo, il primo dei tanti che costellano la nostra storia.
L'Annessione del Sud da parte dei Savoia, fu un'immane tragedia, che costò la vita di tantissimi uomini, donne, vecchi, bambini, rei di difendere la propria terra.
Nei libri di Storia il Borbone è il cattivo e il Savoia il buono, Questa bugia propinata in tutte le salse cela solo l'eterna divisione tra oppressori e oppressi, sfruttati e sfruttatori.
Non c'è buono e non c'è cattivo, ci sono solo due dittature feroci e un popolo alla fame. Una verità che riduce la “gloriosa” spedizione dei mille a una mera guerra d'invasione che ci ha lasciato in eredità l'emigrazione di milioni di persone che fuggivano dalla povertà e umiliazione continua, due guerre mondiali, il fascismo.
Ancora oggi le menzogne sono le stesse, e lo Stato continua a propinare orrori vestiti da regali, chiamando”missioni di pace” vere e proprie spedizioni di guerra in terre che non cercano e non vogliono l'aiuto di chi li vede e li tratta come mere, semplici postazioni utili all'economia capitalista.
Gli operai vengono sfruttati e sottomessi, muoiono sui posti di lavoro, nell'indifferenza di chi si preoccupa solo di onorare i suoi morti vestiti da soldati,oggi come allora.
Le donne violentate dal potere, nelle carceri, nei Cie, nelle caserme, oggi come allora. Cambiano solo i colori delle divise.
Un pensiero di rabbia alla donna stuprata dalla sbirraglia pochi giorni fa in una caserma romana.
Il terrorismo continua, il terrorismo si è perpetuato nei secoli contro il popolo oppresso.
Al signor Bossi vorremmo dire che è il Meridione ad essere in lutto per questa data che, chissà come, solo oggi si decide di elevare a festa nazionale. ( detratta poi come giorno di ferie dalla busta paga dei lavoratori).
Questo nostro sunto vuole cercare di ricordare chi non si è sottomesso ieri, chi non si sottomette oggi.
Questo nostro sunto vuole sottolineare come il sistema repressivo verso ogni forma ideologica_organizzativa e non, antagonista al potere, abbia colpito ieri come oggi, con leggi crudeli e spietate, ogni dissenso.
Questo nostro sunto cerca, senza tema di smentita, di ricordare i morti nella guerra al brigantaggio, seguendo la scia di sangue fino ai giorni nostri, nelle carceri, sui posti di lavoro, nelle piazze, nei lager spacciati come centri di accoglienza per immigrati.
La legge Pica del 1863, che deferiva al tribunale militare non solo i briganti, ma chiunque potesse in qualsiasi modo essere elemento di_sturbo negli ingranaggi del potere, presenta fortissime e inquietanti analogie con la legge”reale” promulgata negli anni settanta contro il terrorismo degli “anni di piombo” e con le leggi Articolo 270, condotta con finalità di terrorismo, e 270 bis,formazione e partecipazione a banda armata.
Ieri Briganti, oggi e sempre ribelli. Loro ci calpestarono, noi ci vendicammo.
Garibaldi, eroe dei due mondi o bugiardo a tutto tondo
Garibaldi va a cavallo
va a cavallo tra due mondi
va a cavallo in Aspromonte
stringendo mani
imponendo sorrisi
spacciando speranze.
Eroe amato e odiato
penetrante e pungente
acclamato e confinato.
Vincendo e sbagliando
Garibaldi ha sbagliato
ha sbagliato a Teano
ha sbagliato a dì “Obbedisco”
doveva dire “ Io te piscio”.
P...
L'Italia dell'Ottocento era suddivisa in tanti piccoli stati, regni e ducati.
Il più grande era il Regno delle Due Sicilie, che comprendeva la Campania, l'Abruzzo, il Molise, la Basilicata, la Puglia, la Calabria e la Sicilia. Seguiva lo Stato Pontificio, che comprendeva grosso modo il Lazio, le Marche e l'Umbria. L'altro Regno era quello di Sardegna, formato dal Piemonte, dalla Liguria, dalla Sardegna, dalla Savoia e dalla contea di Nizza. Il Regno Lombardo-Veneto era sotto l'influenza austriaca, e per esso si combattettero le guerre d'indipendenza. Vi erano ancora presenti in Italia, con una loro indipendenza, il Granducato di Toscana, e i ducati di Modena e di Parma.
Al congresso di Vienna, atto a restaurare l'assetto europeo dagli gli sconvolgimenti della Rivoluzione Francese, la tendenza fu quella di rafforzare l'assolutismo monarchico e di impedire la diffusione delle idee illuministe repubblicane. Lo spirito della restaurazione fu perciò antiliberale e volto alla negazione del principio d
i nazionalità ( popolo sovrano).
Intorno alla metà del secolo le idee portatrici di socialismo e di democrazia raggiunsero comunque vasti strati di popolazione e divennero maggioritarie particolarmente in quelle regioni soggette a domini assoluti, acquisendo un grado diverso di attualità a seconda delle condizioni sociopolitiche e dello sviluppo culturale che esse riflettevano.. A Torino, Milano e, con maggior difficoltà a Firenze e Napoli si erano sviluppati negli ultimi decenni importanti iniziative culturali.
Molteplici erano in Italia le correnti d'opinione, che possono raggrupparsi in due grandi movimenti: quello dei conservatori dello status quo (aristocratici e nobili, uniti all'intero mondo contadino) e quello che auspicava un'Italia unita, governata da un potere borghese e monarchico (unionisti, annessionisti, federalisti, teocratici).
Facile farsi entusiasmare dall'ondata rivoluzionaria che sconvolge l'Europa e l'Italia stessa, se una lettura più attenta non mettesse in evidenza come, soprattutto in Italia, in sintesi, il processo di unità nazionale fu mandato avanti da alcune élite peraltro non concordi fra loro, ma che la maggioranza delle popolazioni che costituivano la futura Italia unita ne restarono estranee.
Le personalità di spicco furono molte tra cui: Giuseppe Mazzini, figura eminente del movimento liberale repubblicano italiano ed europeo; Giuseppe Garibaldi, repubblicano e di simpatie socialiste, per molti un eroico ed efficace combattente per la libertà in Europa ed in Sud America; Camillo Benso conte di Cavour, statista in grado di muoversi sulla scena europea per ottenere sostegni, anche finanziari, all'espansione del Regno di Sardegna; Vittorio Emanuele II di Savoia, abile a concretizzare il contesto favorevole con la costituzione del Regno d'Italia.
I Savoia cavalcano l'onda dei fermenti liberali e, in poche parole, perché troppo lungo sarebbe analizzare a fondo tutti gli aspetti del controverso periodo del Risorgimento,chiamano al governo i liberali, usando l'aspirazione nazionale all'unità come foglia di fico per coprire un progetto semplicemente espansionistico della corona.
Il processo viene affidato all'eroe rivoluzionario per eccellenza, Giuseppe Garibaldi che dopo la rivolta popolare di Palermo del 1860 parte alla volta di Marsala, imbarcando a Quarto i mille “eroi giovani e forti” destinati ad entrare in tutti i libri di storia dell'età moderna.
La propaganda fatta dalla monarchia sabauda fu eclatante: Garibaldi andava a liberare la popolazione del meridione sottomessa ancora a una monarchia straniera,il sogno d una bandiera comune sembrava sempre più vicino, e quella che in realtà fu una vera e propria annessione_invasione si vesti da “missione di pace e liberazione.”L'impossibilità dei Savoia di attaccare direttamente il Regno delle due Sicilie, per non contrastare gli interessi internazionali si trasforma in una vera e propria militarizzazione a tutti gli effetti.
Sarebbe divertente, se non fosse tragico, notare come il governo, dopo 150 anni, usi ancora gli stessi mezzi per propagandar invasioni che di pace non hanno nemmeno il sentore.
La domanda sorge spontanea: come avviene che quegli uomini, descritti dalla storiografia ufficiale come malmessi e disorganizzati, abbiano potuto avere la meglio sul forte esercito borbonico?
Come avviene che all'arrivo delle navi Garibaldine nel porto di Marsala, oltre le navi borboniche , sia presente anche la fotta inglese?
Una scena internazionale che gioca su accordi segreti, realtà come la Massoneria, interessi economici che, oggi come ieri, giocano con la vita del popolo oppresso per servire interessi politici che niente hanno a che fare con libertà dei popoli, l'eguaglianza, la giustizia.
Affascinate dalla sua personalità e convinte degli ideali che sventolava le masse popolari siciliane non esitarono inizialmente ad appoggiare le truppe garibaldine, unendosi ad esse.
Insorsero Palermo e Calatafimi.
Ben presto fu però ben chiaro che L'”eroe dei due mondi” aveva mentito su tutti i fronti e le sue promesse( Abolizione dei dazi e divisione delle terre regie tra i combattenti)solo lucciole per attirare consensi, mentre lanterne sono i veri scopi del re sabaudo, cioè lo sfruttamento e l'oppressione di un popolo già stanco e affamato.
Il primo episodio di repressione del Regno nascente è la rivolta di Bronte,un tragico avvenimento di repressione contro le masse popolari guidato da Nino Bixio.
Il Regno d'Italia comincia così, bagnato del sangue dei suoi contadini.
BRIGANTI SE MORE
“Lo Stato italiano (leggasi sabaudo) è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l'Italia meridionale e le isole, squartando, fucilando, seppellendo vivi i contadini poveri, che scrittori salariati tentarono di infamare col marchio di Briganti”
Tratto da Ordine nuovo del 1920. Antonio Gramsci.
Proviamo, solo per un attimo, a metterci nei panni di un contadino dell'epoca.
Una vita faticosa, a lavorare una terra arida, rubata ai boschi e alle pietre; la mancanza delle primarie necessità quali cibo sufficiente e acqua, una speranza di vita media intorno ai quarant'anni, analfabetismo. Parole come diritti e libertà nemmeno contemplate lontanamente, poi improvvisa una luce di speranza.
L'ondata liberale sembra arrivare anche in queste terre dimenticate, il popolo viene chiamato ad essere fautore stesso della sua libertà, non più privilegio dell' élite borghese.
In tanti seguono questo nuovo respiro, in tanti si uniscono alle truppe garibaldine.
Ben presto anche questo sogno crolla miseramente: ci si rende conto che i nuovi padroni sono peggio dei precedenti, il nuovo regno non porta cambiamenti immediati alla loro sorte, le condizioni di vita assumono nuove forme di degrado, le nuove leggi promulgate sembrano colpire sempre più duramente e crudelmente il popolo.
Le terre vengono confiscate e ridistribuite, bersaglieri e carabinieri occupano militarmente il territorio, la nuova legge di leva obbligatoria toglie forza lavoro alle famiglie. I poveri diventano sempre più poveri. Tra il 1861 e il 1865 muoiono circa trecento bambini su mille nati vivi.
La gente è esausta, si chiede perché cambiare padrone se nulla cambia. La gente è esausta e stanca di subire; in Calabria, Puglia, Campania e Basilicata si fa strada un nuovo serpeggiante desiderio: quello di difendere la propria terra dall'invasore.
Bande armate di briganti iniziano vere e proprie azioni di guerriglia verso le proprietà dei “ nuovi ricchi” e del nuovo regno.
“Quelli senza cappotto”, come vengono definiti romanticamente i briganti dagli scrittori del secolo, vogliono trucidare “quelli col cappotto.”
Si rifugiano sulle montagne, protetti e nascosti dai contadini, accettando l'appoggio di chiunque sposasse la loro causa, persino dal clero e dagli antichi proprietari di terre coi quali condividevano l'intento di cacciare i piemontesi.
Il sud contadino si ribella e continua la sua lotta anche dopo la capitolazione del suo re nel 1860.
Gli strumenti di repressione usati dai piemontesi inauditi:legislazione d'emergenza, stato d'assedio permanente, tribunali militari, legge Pica (codice penale contro i reati di brigantaggio), deportazione in campi di concentramento d'intere famiglie colpevoli solo d'essere parenti dei briganti.
Lo strumento peggiore fu la fucilazione sommaria, immediata e repentina, senza processo.
L’esercito piemontese che si riteneva l’esercito «liberatore» dovette schierare nel Meridione cento ventimila uomini.
È una storia sanguinaria troppo velocemente rimossa.
Il genocidio del sud, da solo, fece più vittime di tutte le cosiddette «guerre d’indipendenza» assommate, ed era tutto sangue di ita1iani: «Vi furono battaglie, stragi, assedi, ma soprattutto si fucilò, a torto o a ragione, per mille cause diverse, senza null’altro che un sospetto vago, uomini, donne, vecchi, bambini persino» .
In tutto più di settemila partigiani dell’indipendenza, quelli che gli invasori — sui loro libri di storia — chiamarono «briganti», furono fucilati o ammazzati in combattimento, altri cinquemila furono arrestati. In totale si contarono ventimila vittime di quella «liberazione», o secondo altri, di quel genocidio che umiliò e calpesto la dignità e l’identità di quel popolo.
E lo affamò: da allora comincia il triste dissanguamento dell’emigrazione (cento ventitremila persone l’anno, quattordici milioni di esuli dal 1876 al 1891) che produce sottosviluppo nelle terre
Scrisse lo storico Giacinto De Sivo: «Ell’è una trista ironia lo appellar risorgimento questo subissamento del bel paese. Briganti noi combattenti in casa nostra, difendendo i tetti paterni; e galantuomini voi venuti qui a depredar l’altrui?»
Fu una guerra civile feroce i cui effetti si fanno sentire ancora ai giorni nostri, se è vero com’è vero che il Meridione non si è più risollevato dalla sua condizione di arretratezza e subordinazione e da piaghe come la mafia. E se è vero che il fenomeno politico di questo scorcio di secolo, in Italia, si è coagulato proprio attorno alla critica allo Stato centralista e ad un progetto di stato federale che si richiama esplicitamente a Cattaneo . Si trattô insomma di una forzatura. Come scrisse Gramsci «un’Italia come quella che si è formata nel 1870 non era mai esistita e non poteva esistere».
Il brigantaggio fu una delle primissime manifestazioni di quella lotta di classe che iniziava a mettere radici in una società totalmente squilibrata e a vantaggio della borghesia e della nobiltà.
Il brigantaggio fu un vero e proprio fenomeno di sollevazione di popolo, un evento d'insorgenza puro e semplice,con aspetti fortemente sociali, ma anche e soprattutto con valenze politiche di estrema importanza.
Senza tema di errore possiamo tranquillamente affermare che la causa principale del brigantaggio rimane la secolare miseria del popolo contadino.
1861-1865, quattro “anni di piombo” per il novello regno italiano.
Tra le tante analisi che negli anni si sono succedute sul fenomeno del brigantaggio, la più semplice e vera è forse quella di un contadino analfabeta di San Fele, Vito Di Gianni, che catturato disse “ Fummo calpestati, noi ci vendicammo”.
LE BRIGANTESSE
Annodata Donna
abbracci un uomo
imbracci un fucile
negli occhi sbrecciati
i sogni ammazzati.
A.M.
E' comprovata , nelle vicende rivoluzionarie della seconda metà dell'ottocento, la presenza di un considerevole numero di donne nell'organizzazione brigantesca.
In questo contesto matura il dramma delle "brigantesse", che è dramma della rottura dell'equilibrio familiare, dramma di madri senza più figli, di ragazze orfane dei genitori, di vedove: è dramma di donne disperate che, ribaltando un ruolo stereotipo di rassegnazione e sudditanza, si dimostrano capaci di affiancare con coraggio i propri uomini e partecipare attivamente alla rivolta contadina.
Proviamo a dare un nome, un volto, una voce alle tante donne che, nel bene e nel male, sono state costrette da circostanze spesso gravose, ad aggregarsi alle tante bande che sono nate, in tutto il Sud, dopo l’Unità d’Italia. Solo da alcuni decenni si è iniziato a parlare, anche, di queste donne, dimenticate dalla storiografia ufficiale, che erano, per lo più, analfabete, semplici e che vivevano nella miseria, alla mercè dei più forti, latifondisti e briganti.
Lo stereotipo della donna, che si accompagna ai briganti, è una figura minuta, con, in mano, un fucile, vestita, alcune volte, al maschile, anticipando di quasi un secolo, una moda che permetterà al gentil sesso d’indossare, con grazia, i pantaloni.
Una distinzione da fare in primis è tra la “ donna del brigante” e la “ Brigantessa”.
Partiamo dal logico presupposto che in una banda di briganti, numerosa ed organizzata come tante nell'epoca, fosse indispensabile la presenza di una o più donne, per motivi di approvvigionamento, logistici, di collegamento o semplicemente affettivi. La “ donna del brigante” era quella che seguiva il suo uomo, datosi alla macchia, fosse lui il marito, l'amante o, più raramente, il figlio.
Molto spesso la scelta era obbligata: con la sparizione del compagno ella si trova sola, senza più forme di sostentamento, spesso oggetto di attenzioni indesiderate dai “ Galantuomini” e dai soldati. Il mercimonio e l'umiliazione le uniche alternative a questa scelta.
Numerosissimi i casi di stupri selvaggi di cui si hanno notizia e che non venivano condannati.
La “ brigantessa”è un esempio più raro, ma più sanguinoso e cruento.
Rivelatrice di contraddizioni è la vicenda di Filomena Pennacchio, una tra le più note "brigantesse". Figlia di un macellaio, nata in Irpinia nella provincia borbonica di Principato Ultra, fin dall'infanzia incrementò il povero bilancio familiare servendo come sguattera presso alcuni notabili del paese. Alcuni mesi dopo il primo incontro con Giuseppe Schiavone, famoso capobanda lucano, vendette per alcuni ducati il poco che aveva e lo seguì nella latitanza. La vita brigantesca la rese subito un'intrepida combattente, evidenziando le sue inclinazioni sanguinarie. Con Schiavone partecipò a furti di bestiame ed a sequestri di persona, trovando modo di meritarsi il rispetto e la simpatia di tutta la banda.
Non si sottrasse nemmeno all'omicidio, avendo preso attiva parte all'eccidio di nove soldati del 45° Reggimento di Fanteria nel luglio del 1863 a Sferracavallo.
Era altre sì capace di slanci di generosità come è testimoniato dal soccorso che offrì ad alcune vittime della banda Schiavone e per aver cercato di salvare alcune vite.
Di lei si disse anche, ma senza suffragio di prove, essere stata non solo l'amante di Schiavone ma anche di Carmine Crocco, il leggendario e riconosciuto capo di tutte le bande lucane e dei suoi luogotenenti Ninco Nanco e donato Tortora.
Il dramma delle donne del brigantaggio si consuma nell'indifferenza, quando non nel disprezzo, nel silenzio dell'opinione pubblica. Gli atti ufficiali dei Carabinieri Reali, quelli delle Prefetture, i fascicoli processuali le accomunano tutte ai loro uomini, non attribuendo mai alle donne del brigantaggio un ruolo di soggetto sociale autonomo.
Le cronache giornalistiche e gli scrittori coevi le descrivono solo come manutengole, amanti, concubine, " ganze", "drude", donne di piacere dei briganti. Ciò ha impedito di prendere in considerazione il fenomeno e non ha consentito uno studio più approfondito sui risvolti sociali e politici della rivolta delle donne meridionali.
Delle "brigantesse" restano oggi solamente le poco foto che la propaganda di regime ha voluto tramandare per una distorta lettura iconografica del brigantaggio.
Così, accanto a "brigantesse" che si sono fatte ritrarre - armi in pugno - in abiti maschili, vi sono le foto ufficiali dopo la cattura e, talora, dopo la morte in una postura innaturale.
Come i loro uomini, trucidati e frettolosamente rivestiti, legati ad un palo o ad una sedia, gli occhi rigidamente spalancati, con in mano i loro fucili e circondati dai loro giustizieri.
Macabro trofeo di una guerra civile occultata.
Emblematiche sono le foto che si conservano di Michelina Di Cesare, una delle pochissime "brigantesse" uccise in combattimento: alcune la ritraggono negli abiti tradizionali che ne risaltano la bellezza mediterranea.
L'ultima, scattatale dopo la morte, mette in evidenza lo scempio fatto sul suo cadavere.
Nelle macabre fattezze di Michelina, sconvolte dalla violenza, si può leggere tutto il dramma e le sofferenze dei contadini del Mezzogiorno.
Le brigantesse furono feroci, anzi più degli uomini. Abili, leste di coltello e di fucile. Coraggio ne avevano da vendere. Furono passionarie, eroine, crudeli, sottomesse e più spesso indipendenti e libere, anche nel passare da un letto all'altro.
Furono fiere di combattere per se stesse, per la propria terra e per l'indipendenza del Sud.
In molti casi le “donne dei briganti” venivano arrestate in stato di gravidanza. Oltre alla necessità di sentirsi donne, pur nelle condizioni disagevoli della vita clandestina, non è da sottovalutare il pensiero di alcuni storici che le gravidanze fossero un espediente per avere una pena più lieve in caso di cattura.
Seppur la giustizia, apparentemente, fosse meno severa con queste donne, il carcere borbonico era non meno duro di quello degli uomini e le condizioni pessime di igiene, l'insufficiente alimentazione, mettevano a dura prova le donne.
Immergendosi nelle biografie di queste “ guerrigliere” ci si trova in un mondo di donne derise, oltraggiate, incarcerate, maltrattate, dimenticate, ma vestite di una fierezza che spesso ha il colore del sangue. Sono donne che hanno imbracciato il fucile,condiviso la vita alla macchia, nascosto e aiutato i loro uomini.
Sono donne del Sud che hanno scritto una pagina proibita di storia. Donne, madri, sorelle, spose che un'opportuna sbianchettata ha eliminato dagli archivi storici, non riuscendo però a vanificare lo sforzo fatto da queste partigiane del passato, che hanno partecipato in maniera attiva e passionale ad un momento tragico della nostra storia.
Il Grido di un Popolo
Io ora non combatto per rubare e per farmi ricco, ma per l'emancipazione dei contadini, per affrancarli dalle servitù, dalle decime, dai terraggi.
Nessuno ricorda mai gli sconfitti. Ma ogni tanto si affaccia un Giannone, un Cuoco e fa giustizia. Cent'anni dopo i fatti, magari.
L'idea di uno Stato in cui fossero i contadini a governare non morì.
Raffaele Nigro
I fuochi del Basento
Quando il lamento di un popolo si trasforma in poesia; quando la rassegnazione si trasforma in fierezza; quando la memoria diventa consapevolezza
allora:
"Sempre nuova è l'alba"
... Non gridatemi più dentro,non soffiatemi in cuore
i vostri fiati caldi, contadini.
Beviamoci insieme una tazza colma di vino!
che all'ilare tempo della sera
s'acquieti il nostro vento disperato.
Spuntano ai pali ancora
le teste dei briganti, e la caverna -
l’oasi verde della triste speranza -
lindo conserva un guanciale di pietra...
Ma nei sentieri non si torna indietro.
Altre ali fuggiranno
dalle paglie della cova,
perché lungo il perire dei tempi
l'alba è nuova, è nuova...
Rocco Scotellaro
UOMO PRECARIO
Nasci bimbo nasci
piangi
continua a piangere
per fame
per necessità
per dolore imposto
da coloro che ti vogliono sfruttare
controllare
reprimere.
Picchia ragazzo picchia
picchia di più
di chi ti vuole annientare
sottomettendoti.
Fuggi uomo fuggi
fuggi il delirio vigliacco
di chi ti conquista
ti opprime
ti umilia
ti violenta
ti annulla.
Muori uomo muori
muori ma ricordati la tua sofferenza.
Crea la tua morte.
Siamo viviamo moriamo
cercando di essere.
P...
Legge Pica:
" Art.1: Fino al 31 dicembre nelle province infestate dal brigantaggio, e che tali saranno dichiarate con decreto reale, i componenti comitiva, o banda armata composta almeno di tre persone, la quale vada scorrendo le pubbliche strade o le campagne per commettere crimini o delitti, ed i loro complici, saranno giudicati dai tribunali militari;
Art.2: I colpevoli del reato di brigantaggio, i quali armata mano oppongono resistenza alla forza pubblica, saranno puniti con la fucilazione;
Art.3: Sarà accordata a coloro che si sono già costituiti, o si costituiranno volontariamente nel termine di un mese dalla pubblicazione della presente legge, la diminuzione da uno a tre gradi di pena;
Art.4: Il Governo avrà inoltre facoltà di assegnare, per un tempo non maggiore di un anno, un domicilio coatto agli oziosi, ai vagabondi, alle persone sospette, secondo la designazione del Codice Penale, nonché ai manutengoli e camorristi;
Art.5: In aumento dell'articolo 95 del bilancio approvato per 1863 è aperto al Ministero dell'Interno il credito di un milione di lire per sopperire alle spese di repressione del brigantaggio. (Fonte: Atti parlamentari. Camera dei Deputati)